Gli Stati Uniti sono in guerra per salvare l’anima della nazione. È questo il messaggio al centro della campagna elettorale di Joe Biden, il nuovo Presidente degli Stati Uniti. Contro gli stravolgimenti di Donald Trump, Biden offre a un’America lacerata da tensioni razziali e devastata dal coronavirus l’esperienza di cinquant’anni di servizio pubblico.
La vita: fra tragedie familiari e funzioni pubbliche
Joseph “Joe” Biden nasce in Pennsylvania nel 1942, in una famiglia cattolica di origini irlandesi. Già da giovane studente di legge, Joe ha le idee chiare: in uno dei primi appuntamenti con Neilia Hunter, che poi diventerà sua moglie, confessa di voler farsi eleggere senatore entro i 30 anni e poi presidente.
L’opportunità di trasformare il sogno in realtà arriva effettivamente otto anni dopo, quando alle elezioni per uno dei due senatori del Delaware nessuno sfidante si presenta per contendere il seggio all’uscente Caleb Boggs, repubblicano prossimo alla pensione ma convinto dal presidente Richard Nixon a correre per un terzo mandato. Biden è allora solo un giovane avvocato e consigliere di contea ma coglie comunque la palla al balzo e, con un piccolo team elettorale guidato dalla sorella Valerie, decide di scendere in campo. Senza soldi e sconosciuto agli elettori prima dell’inizio della campagna elettorale, Biden incarna però il volto democratico, giovane e fresco su cui gli elettori del Delaware decidono di puntare: con un risicato margine di poco più di 3.000 voti, il 7 novembre 1972 viene eletto senatore degli Stati Uniti. Mancano meno di due settimane al suo trentesimo compleanno.
La gioia, però, dura pochissimo: il 18 dicembre, in strada per comprare i regali di Natale, l’auto con a bordo la moglie di Joe e i loro tre figli viene travolta da un camion. Neilia e Naomi, la figlia di un anno, restano uccise. Mancano poche settimane all’inizio del suo mandato in Senato e Biden pensa di rinunciare all’incarico per assistere i due figli sopravvissuti, Beau e Hunter. I colleghi democratici riescono a persuaderlo a tenere duro e così, dopo alcuni mesi di difficoltà, Biden getta le basi per una delle più lunghe carriere senatoriali degli USA: si dimostra presto un legislatore estremamente efficace, particolarmente capace di trovare punti di contatto e compromesso tra democratici e repubblicani, e già nel 1974 Time magazine lo cita tra i “200 volti per il futuro”.
L’ambizione degli anni universitari è ancora viva: quindici anni dopo la sua elezione al Senato, Biden, che nel frattempo ha ritrovato la serenità familiare con il secondo matrimonio, decide di presentarsi tra i candidati democratici alle elezioni presidenziali del 1988. Pur considerato tra i favoriti, non riesce però a sfondare nei sondaggi e nel settembre 1987, si ritira dalle primarie del Partito Democratico. La sua esperienza in Senato continua comunque con successo: dal 1987 al 1995 è presidente del comitato sulla giustizia e, negli anni 2000, del comitato affari esteri. Oppositore dell’intervento USA nella prima Guerra del Golfo, Biden vota invece a favore delle operazioni NATO in Bosnia-Erzegovina e in Jugoslavia e delle missioni in Afghanistan nel 2001 e in Iraq nel 2002.
Dopo il primo tentativo fallito, Biden non smette però di pensare alla corsa alla Casa Bianca: decide di riprovarci vent’anni dopo, presentandosi alle primarie di partito del 2008. L’anno, tuttavia, è quello di Barack Obama e Hillary Clinton, giganti di fronte ai quali il senatore del Delaware non riesce a spiccare: si ritira a gennaio schierandosi a favore di Obama. Quella sarà però l’occasione per Biden e Obama di avviare una collaborazione politica che si trasformerà negli anni in una profonda amicizia. Il fondale su cui si proietta la relazione tra i due è il ruolo che Biden ricoprirà per tutti gli otto anni dell’amministrazione Obama: quello di vicepresidente degli Stati Uniti. Cementata nel doloroso periodo della malattia e della morte nel 2015 del figlio maggiore di Biden, Beau, l’amicizia con Obama culmina al termine del secondo mandato, quando il presidente conferisce al suo vice la Medaglia presidenziale della libertà, la più alta onorificenza civile degli Stati Uniti.
Di fronte a un’America spaccata dopo quattro anni di Trump, Biden decide di tentare un’ultima corsa alla presidenza: si presenta così alle primarie democratiche per la terza volta e, ad agosto 2020, ottiene finalmente la nomination tanto agognata.
Le politiche: una mano esperta per un paese ferito
Le primarie democratiche del 2020 sono state una corsa affollata e Biden ha dovuto farsi largo tra 29 candidati, alcuni dei quali di primissimo piano: la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren, paladina delle lotte contro finanza sregolata e big corporations; l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg, forte di un patrimonio miliardario per finanziare la propria corsa elettorale; Bernie Sanders, il senatore socialista del Vermont e leader dell’ala progressista del partito, che già nel 2016 aveva messo in difficoltà la candidata favorita Hillary Clinton.
Era stato proprio l’exploit di Sanders alle precedenti elezioni ad aprire un dibattito interno al partito, tra un’anima più moderata e vicina all’eredità di Obama e quella vicina a Sanders, aperta invece a proposte innovative e riforme più progressiste. Parole d’ordine socialdemocratiche attorno a cui si sono raccolti negli ultimi anni molti dei volti nuovi e più noti del partito democratico. Quest’anno alla fine l’ha spuntata Biden, grazie alla sua esperienza e alla sua vicinanza a Obama, un presidente molto amato da neri e minoranze - una fetta fondamentale dell’elettorato dem. Ottenuta la nomination, Biden ha però voluto fare della sua agenda politica una piattaforma che potesse trovare un compromesso tra le varie fazioni democratiche, unendo il partito nella sfida a Trump. L’agenda del candidato contiene così proposte come l’allargamento della platea di beneficiari dell’Obamacare, salario minimo a $15 all’ora, università gratis per i figli di famiglie meno abbienti, emissioni nette a zero entro il 2050 e ritorno degli USA a guida dell’ordine mondiale liberale e multilaterale.
Proprio quando la campagna elettorale di Biden scaldava i motori, però, gli USA sono stati travolti dalla pandemia. Di fronte all’emergenza, lo stile dei due sfidanti non avrebbe potuto essere più diverso: mentre Trump ha continuato a tenere raduni sostanzialmente senza mascherine né distanziamento sociale, Biden ha voluto rispettare i protocolli sanitari e ha deciso di evitare comizi e parlare agli elettori in video. Un gesto di responsabilità che rischiava di smorzare l’impeto della sua corsa, già partita in salita visto il vantaggio di cui solitamente godono i presidenti uscenti.
Il giorno dell’insediamento avrà 78 anni e sarà il presidente più anziano della storia degli USA (lo stesso sarebbe valso in realtà anche per Trump, che ha 74 anni). Non è un caso quindi che molta attenzione sia stata data alla vicepresidente che ha scelto per il ‘ticket’ verso la Casa Bianca: Kamala Harris, senatrice 55enne e prima donna non bianca a correre come vice presidente per uno dei due grandi partiti USA. Nonostante la prestazione deludente alle primarie, Harris è già da tempo una figura di primo piano tra i democratici e sono in molti a interpretare la sua scelta come un’investitura in vista di una candidatura presidenziale nel 2024. Anche in questo Biden ha voluto marcare la propria differenza da Trump, mostrando di saper abbracciare una visione che vada oltre se stesso.